Allora, come sono andati i festeggiamenti per il nuovo anno? Io ora potrei scrivere una bella newsletter su come levare dai vestiti l’odore del gulasch, ma a parte quello tutto bene! Ho mangiato poco, come al solito, bevuto poco, a differenza di Natale (e qui potrei parlare di come ti influenzano i comportamenti altrui: a Capodanno tutti bevevano pochissimo, a Natale no!) ma alle 2.30 ho smesso di contribuire al lavoro della mia squadra per “OK boomer”, un gioco che vede opposti millenial e gen Z e che nonostante la bella idea non consiglio per via delle domande troppo facili alternate a quelle impossibili per tutti.
Una frase che mi ha stupito
Ma come avrai intuito dal titolo non parlerò di questo. Intanto che dici di iscriverti a Divulgazione a Colazione, se non lo hai ancora fatto?
Come avrai notato, questa newsletter è molto a tema con il titolo della pubblicazione. Nei primi giorni dell’anno mi ha colpito un contenuto di una persona che non menzionerò, perché ho paura che non conoscendola potrebbe attirarsi una shitstorm dovuta all’emotività su certi argomenti, e anche al fatto che per ragioni di spazio non posso citare l’intero discorso (di un’ora abbondante). Parliamo di una persona tenuta in gran conto nel suo ambiente, con cui io ho lavorato e che non solo stimo, ma a cui sono proprio affezionata; conosco abbastanza bene questa persona, e non mi sono mai sentita discriminata né sminuita perché donna. Lo so, è ingenuo immaginare una shitstorm partita da una newsletter che conta meno di 50 iscritti, che corrispondono quasi totalmente ai miei follower su Instagram che sono persone dotate di raziocinio, ma metti caso che io domani venga assassinata da un incel (si può scrivere “assassinata” su Substack o è come Instagram?), questa newsletter farebbe il giro d’Italia senza bisogno della bicicletta, e in questi casi non sai mai a chi si può arrivare.
Le frasi che sto per citare sono prese da un video IG di questa persona che però appartiene a un contenuto molto più ampio e strutturato. Conosco i limiti di una frase decontestualizzata e per questo mi riservo di inviare (o no) il video integrale a chi me lo chiede (idealmente a tutti gli iscritti attuali mentre sto scrivendo, per esempio), dopo aver verificato che non siano persone che non vedono l’ora di fare caciara alla qualunque.
Detto questo, la frase che mi ha fatto riflettere è questa:
“Dobbiamo essere preparati a riconoscere che certe scelte potrebbero essere l’espressione di preferenze intrinseche, magari biologicamente determinate nei due generi, e che non hanno niente a che vedere con le possibilità di accesso. Forse le ragazze non vanno a fare ingegneria e scienze del computer perché non gli piace, preferiscono fare medicina e biologia perché invece gli piace di più, cioè manifestano liberamente le loro preferenze, e questo è quello a cui dovremmo tendere in una società libera”.
Lascio da parte la questione biologica, su cui gli addetti ai lavori si scannano da mo’ (mentre scrivo so che deve uscire un post di neurosnack_official sulle differenze tra cervelli maschili e femminili, se non è ancora uscito seguiteli [e se è già uscito, seguiteli lo stesso]), perché vorrei concentrarmi su una questione più affine ai miei studi, cioè il fatto che la propensione (o meno) delle donne alle materie STEM è dovuta a fattori culturali. Sul fatto che l’influsso culturale esista ci sono pochi dubbi (cito due articoli: Favara, Trusz), ma c’è un problema: la misurabilità del fenomeno. Se uno scienziato dice che un cervello maschile è diverso da uno femminile per quanto riguarda la variabile X lo potrà dimostrare (e misurare), o, se non ci sono ancora i mezzi per dimostrarlo, attendere il progresso tecnologico. Non sono la persona più ottimista del mondo, ma credo che non sarà mai possibile valutare l’entità dei condizionamenti sociali o familiari. Io stessa, fino a sei anni fa, non avevo alcun interesse nei confronti della scienza (molto più per il computer, visto che è stato menzionato). Poi, abbastanza per caso, mi sono trovata a lavorarci in mezzo, e le cose sono cambiate drasticamente. Ne avevo parlato qui
Io forse dovevo studiare giardinaggio
Sono una persona che fa molto di testa sua: se qualcuno mi avesse detto che la scienza non è cosa da donne me ne sarei allegramente fregata e magari sarei già al CERN (sognare non costa nulla). In realtà nessuno mi ha detto di andare al classico, volevo fare il linguistico che però nella mia città era solo privato, e quando ho conosciuto le suore ho detto ai miei che anche se volevo rimanere a casa a leggere il giorno dopo potevamo fare un salto alla giornata aperta del classico. Se io rinuncio alla lettura, vuol dire che le suore mi erano rimaste proprio indigeste (del resto se la prima cosa che mi dici è che non potrò fare sciopero e fumare pena l’espulsione MA avrò l’occasione di andare a messa ogni domenica con tutti i miei compagni, le Pingu non dovrebbero stupirsi della mia fuga strategica, e comunque suggerirei di rivedere il marketing). Ad ogni modo, mi sono innamorata del giardino del classico, che curiosamente era un chiostro, e il resto è storia. Per quanto chiostri e siepi non siano la ragione migliore per scegliere il proprio percorso di studi, so che i miei avrebbero accettato ogni mia decisione (prova ne è il fatto che mio padre, Sessantottino doc, mi avrebbe mandato in una scuola privata, visto che era l’unica). Però. Però in casa mia nessuno era appassionato di scienza, non lo erano gli amici dei miei, non lo erano i parenti che frequentavo. Certo, mi hanno fatto giocare con le costruzioni e regalato la collezione dei libri di “Esplorando il corpo umano”, ma molto più spesso mi leggevano le favole e mi parlavano della storia delle parole.
Lo scienziato da cui è scaturita quella riflessione e tutti quelli che sono arrivati alle stesse conclusioni, secondo me sottostimano le influenze per così dire subliminali. Lo so, lo so, per le ragioni di cui sopra non lo potrò mai dimostrare (e del resto non si potrà dimostrare nemmeno il contrario), ma vorrei fare questo esempio che con il genere non c’entra niente per spiegare quante cose possiamo interiorizzare senza rendercene conto.
Ed ecco che arriviamo finalmente alla colazione a letto. L’avrò fatta due volte in vita, sempre su iniziativa di qualche fidanzato che non a caso non ci ha più riprovato dopo il mio “sinceramente non mi piace tanto fare colazione a letto”. È una mia preferenza, ed è neutra. Non è che le persone che amano fare colazione a letto siano migliori o peggiori di quelle a cui non piace, e non mi ero mai chiesta perché non mi piacesse, esattamente come non mi chiedo i motivi della mia spiccata preferenza per gli uomini con gli occhi azzurri. Finché un giorno mi si è aperto un mondo.
Mia mamma aveva avuto una brutta giornata, non ricordo esattamente cosa fosse successo, ma con mio marito siamo andati a consolarla. Per migliorare la situazione, mio marito ha detto qualcosa tipo “Dai, non ci pensare più, vai a dormire e domani Anna ti porta la colazione a letto”.
Al che mia madre ha ringraziato ma ha risposto che ODIAVA fare colazione a letto. Mio marito a quel punto ha ironicamente chiesto se eravamo madre e figlia, e così mia madre ha scoperto che neanche io amavo fare colazione così.
Il mistero svelato
Mi ha chiesto: “Tu perché?”. La domanda mi è sembrata strana, e le ho risposto che non c’era un motivo, mentre lei ha detto: “Io sì che ce l’ho, un motivo: per me la colazione a letto era quella che dovevo portare a tua nonna quando stava male”. Cioè praticamente sempre, precisiamolo. La malattia di mia nonna è stata un problema per mia madre, che in quanto unica donna a casa era quella che doveva fare cose tipo portare la colazione a letto, ma non lo è mai stata per me. Non ho nemmeno mai associato la colazione a letto alla malattia, perché se stavo troppo male la colazione non la facevo proprio, se stavo semplicemente male mi alzavo, facevo colazione e poi tornavo a letto.
Al che partono le domande. Non amo la colazione a letto perché non ho mai visto mia madre farla? Perché prima di avere dei partner nessuno me l’ha mai portata? Perché ho sviluppato del tutto indipendentemente questa non-propensione (questa mi sembra la più improbabile)? O, e questa è inquietante, perché in qualche modo, anche se mia madre non me lo aveva mai detto, in qualche modo mi è arrivata l’idea che colazione a letto=malattia?
Non ne ho idea, ma in tutte queste ipotesi tranne una c’è una forma di condizionamento, e io, se non fosse stato per questa conversazione, non l’avrei mai saputo. E se veniamo condizionati in qualcosa di futile come la colazione a letto, figuriamoci in qualcosa che ha un impatto piuttosto pesante nella vita di ognuno, e che finisce, prima o poi, sulla bocca di tutti, come la scelta di un qualsiasi percorso di vita.
Concludo con un messaggio di speranza. Con la biologia possiamo combattere. Fino a un certo punto, eh, per esempio ritengo impossibile per un uomo rimanere incinto. Ma se io, che dai 23 ai 33 anni sono sempre andata a letto alle 2.30/3.00 per poi dormire fino alle 9.30/10, da quando convivo mi sveglio sempre alle 7.30 (anche se devo dire che “svegliarsi” è una parola grossa) vuol dire che abbiamo più margine di manovra di quanto pensiamo (se ti interessa l’orologio circadiano, ne avevo scritto qui).
Anche i condizionamenti culturali sono una bella gatta da pelare, e dubito li supereremo nel giro di una generazione. Ma se ognuno fa quella piccola azione, per esempio sostituire in questa immagine la bambina con il bambino1…
…beh, in un lontano futuro avremo guadagnato parecchia libertà. E a quel punto magari le ragazze saranno ancora disinteressate a studiare programmazione, ma almeno avranno la certezza che questo deriva da una loro preferenza, e non da una decisione, arbitraria e inconscia, della società tutta.
Noi ci sentiamo tra due settimane, nel frattempo se sei donna e ti va di studiare ingegneria fallo (e ovviamente se sei uomo e voi studiare lettere non serve la scusa che lì ci sono più belle ragazze da intortare!)
Lo so, questa singola immagine non porta a pensare che l’uomo sia sempre l’accompagnatore senza macchia e senza paura e la donna sempre la spaesata curatrice di peluche, ma provate a guardarne 20 al giorno tutte così e poi vediamo…